Il moderno adolescente è un eroe solitario che tra lo Scilla e Cariddi degli opposti, su un mezzo di fortuna, naviga alla ricerca di sé. Bellezza e bruttezza, il bene e il male, l’intelligenza e la stupidità, sempre in balia di qualche oscura onda, cercare di rimanere in piedi sulla barca sembra la cosa più difficile. May, l’adolescente e eroina di questo libro, vorrebbe tanto essere come la sua amica Selina: bellissima, con tante belle cose di cui circondarsi e anche un posto bello dove vivere. Invece, rimasta orfana appena nata, le sembra di non avere nulla. Così come quasi tutti i protagonisti dei romanzi di JW, May si sente fuori moda, fuori tempo, fuori tutto insomma. Non ha una famiglia che le piace (vive con i suoi nonni e una vecchia prozia), si sente troppo magra, troppo piccola, goffa e soprattutto è convinta che nessuno possa sentirsi attratto da lei. Quando Robin Campbell, il suo insegnante di scrittura creativa, comincia a interessarsi a lei e scopre il suo talento per la scrittura, scocca la scintilla e la forza dell’amore imprime il suo moto rivoluzionario alla vicenda. Determinata, dopo la morte del nonno, a conquistare il cuore del giovane insegnante, May, che nel frattempo è riuscita a farsi coinvolgere da Selina in oscuri riti magici, cercherà di evocare il potere dell’ombra per legarlo a sé.
A parte qualche infornata Voodoo di biscotti, non c’è niente nel testo di quella magia tenebrosa e malefica a cui siamo ormai avvezzi ma c’è piuttosto molto altro. Esiste certo un potere dell’ombra che prende il sopravvento, soprattutto nei momenti difficili, tuttavia il suo vero potere è quello che ci porta a non riconoscere le ombre degli altri. May fa i conti con l’ombra di tutti: quella di sua madre alla quale tutti vogliono che assomigli; quella della sua amica Selina, appena scaricata dal fidanzato; quella di sua zia che molto probabilmente è la sua vera nonna; quella del suo insegnante che non ha mai raggiunto il successo; e in ultimo, ma non meno importante, quello dei suoi nonni, della vecchiaia che incombe e il cui odore, dalla morte del nonno, sembra ovunque, nei mobili, sugli abiti, persino sulla pelle.
Quando Robin Campbell spingerà May a abbandonare la pittura (sua madre Amy era una pittrice) per la scrittura, May comincerà a scrivere una serie di fiabe – splendide tra l’altro – e trovare così nella scrittura il modo per rappresentare il suo mondo e dare all’ombra il suo spazio e così un ordine (anche in “Bambina affittasi” e ne “La bambina con la valigia”, solo per citarne alcuni, le due protagoniste si affidavano al potere della parola scritta). La casa di ghiaccio, la sorella grande e quella piccola, le due vecchie, e altre ancora, sono le fiabe che May inventa e che rappresentano le storie della sua storia, fino all’ultima, forse la più bella.
Sofisticata come l’immagine di copertina, la scrittura di JW affonda e lascia emergere, come sempre, temi importanti: la vecchiaia, la morte, la consapevolezza, coraggiosa ma amara che, l’unico modo che avremo per raggiungere la riva, non sarà sul dorso di esseri favolosi, bensì aggrappati alla piccola e unica zattera che ognuno di noi costruisce per la propria salvezza.